mercoledì 17 dicembre 2025

La Commissione Reale sulla scuola: Girolamo Vitelli e Gaetano Salvemini.

Nel 1905, su iniziativa del ministro della Pubblica Istruzione Leonardo Bianchi, venne istituita una Commissione Reale con il compito di esaminare lo stato della scuola secondaria superiore italiana alla luce delle esperienze dei principali sistemi educativi europei. A presiederla fu chiamato Paolo Boselli, mentre tra i suoi membri figuravano personalità di primo piano della cultura nazionale: il filologo Girolamo Vitelli, lo storico Gaetano Salvemini e il letterato Alfredo Galletti. Fin dall’inizio, i lavori della Commissione si collocarono al centro di un dibattito acceso, destinato a segnare in profondità la riflessione pedagogica italiana dei decenni successivi.

La proposta avanzata dal ministro Bianchi prevedeva l’istituzione di una scuola media inferiore unica, triennale e post-elementare, comune a tutti gli studenti. In questa fase iniziale dell’istruzione secondaria, lo studio del latino sarebbe stato eliminato, giudicato da Bianchi — neurologo e psichiatra di formazione — non solo inopportuno, ma addirittura «un errore psicologico e pedagogico, una colpa legislativa, aggravata dall’irrazionalità dei metodi». Al termine del ciclo unico, il sistema si sarebbe articolato in tre indirizzi distinti: la scuola normale per la formazione dei maestri, l’istituto tecnico e il liceo, a sua volta suddiviso in classico e moderno.

Proprio questa impostazione determinò una frattura insanabile all’interno della Commissione. Vitelli, Salvemini e Galletti si dimisero, opponendosi con decisione all’idea di una scuola media unificata priva di latino. La loro uscita non fu un gesto isolato, ma segnò l’inizio di una collaborazione intellettuale volta a elaborare una visione alternativa dell’istruzione secondaria, capace di superare tanto il tradizionalismo sterile quanto le semplificazioni riformatrici.

Girolamo Vitelli si fece portavoce di una difesa rigorosa del classicismo, fondandola non su argomenti di mera tradizione, ma su una concezione profondamente educativa dello studio delle lingue antiche. Greco e latino, a suo giudizio, non dovevano essere intesi come saperi nozionistici, bensì come strumenti di formazione integrale della mente e dell’animo, capaci di affinare il sentimento umano in generale e quello nazionale in particolare. La scuola media, in questa prospettiva, non doveva limitarsi a preparare all’università, ma rendere gli studenti idonei a intraprendere con pari solidità studi filologici, matematici, giuridici o medici.

Nel 1908, nella prefazione al volume La riforma della scuola media di Salvemini e Galletti, Vitelli accolse con favore, almeno in una prima fase, l’idea di una scuola moderna parallela al liceo classico. Tale soluzione gli appariva utile per arginare l’affollamento dei licei da parte di studenti attratti unicamente dal valore legale del diploma, più che da un autentico interesse culturale. A questi giovani “utilitari”, sosteneva, occorreva offrire «il pane per i loro denti», liberando così la scuola classica da presenze che finivano per snaturarne la funzione formativa.

Tuttavia, pochi anni più tardi, nel saggio Il liceo moderno, i classicisti… e la guerra (1915), Vitelli espresse un giudizio fortemente critico sui licei moderni così come erano stati concretamente realizzati. Essi conservavano ancora il latino in forma anacronistica, segno di una persistente difficoltà, in Italia, a concepire una scuola di cultura priva di riferimenti all’antichità classica. Inoltre, questi istituti soffrivano di una minore qualità del corpo docente: i professori più preparati continuavano a preferire il liceo classico, dove l’insegnamento del greco accompagnava quello del latino, al punto che la maggioranza dei docenti più esperti dichiarava di non saper insegnare efficacemente il latino senza il supporto del greco.

Parallelamente, Salvemini e Galletti svilupparono una proposta riformatrice volta a spezzare il monopolio del liceo classico sancito dalla Legge Casati, che lo aveva reso l’unica via di accesso all’università. Essi polemizzavano contro quei classicisti intransigenti che difendevano tale privilegio nonostante risultati spesso deludenti, trasformando di fatto il liceo in una scuola “più scientifica che classica”. A sostegno delle loro tesi richiamavano il modello prussiano, in cui convivevano Realschulen moderne e Realgymnasien di impostazione semiclassica.

La scuola moderna da loro immaginata doveva essere pienamente autonoma rispetto tanto al percorso classico quanto a quello tecnico, avere pari durata e pari dignità, garantire l’accesso a tutte le facoltà universitarie e consentire passaggi agevoli tra i diversi indirizzi. Non temevano che ciò potesse svuotare il liceo classico, convinti che esso avrebbe continuato ad attrarre, per la qualità dei suoi frutti, le famiglie più agiate e gli studenti più dotati.

Il confronto tra le proposte in campo rende evidente la distanza tra le visioni: da un lato, il progetto della Commissione Reale, fondato su un ciclo inferiore unico e su una successiva articolazione in tre licei quinquennali; dall’altro, l’idea di due percorsi paralleli — classico e moderno — entrambi legittimati culturalmente e istituzionalmente, senza passare per una scuola media unificata priva di latino.

Il dibattito si estese anche ad altri aspetti dell’ordinamento. Salvemini, ad esempio, si oppose con decisione all’opzione tra greco e matematica introdotta dal Decreto Orlando, denunciandone gli effetti distorsivi: i congressi degli insegnanti ne avevano unanimemente rilevato i danni, lo stesso ministro ne era insoddisfatto, e le scelte degli studenti finivano per dipendere più dalla severità o indulgenza dei docenti che dalle reali inclinazioni personali. Analogamente, Salvemini si espresse a favore dell’abolizione della “storia della cultura greca” come disciplina separata, ritenendo artificiosa la distinzione tra forma linguistica e contenuto culturale. Un buon insegnante di lingue classiche, sosteneva, ha sempre saputo di trasmettere, insieme alle strutture linguistiche, l’intera civiltà dell’antichità.

In questo intreccio di proposte, polemiche e ripensamenti si delinea uno dei momenti più intensi della storia della scuola italiana, in cui la questione del rapporto tra tradizione classica e modernità educativa venne affrontata non come sterile contrapposizione ideologica, ma come problema cruciale per la formazione intellettuale e civile della nazione.

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