La filosofia, partendo dalla domanda primissima (perché esiste qualcosa e non il nulla?) è arrivata sempre a interrogarsi sull'idea di Dio. Ricapitoliamo qui tutte le prove dell'esistenza di Dio formulate nel corso della storia del pensiero occidentale.
1. Prova ontologica (Anselmo – perfezione)
Dio è per definizione l’essere che possiede tutte le perfezioni.
L’esistenza è una perfezione.
Dunque Dio esiste.
2. Prova ontologica (Anselmo – “ciò di cui non si può concepire il maggiore”)
Dio è l’ente di cui non si può concepire il maggiore.
Un ente che esiste nella realtà è maggiore di uno che esiste solo nell’intelletto.
Se Dio esistesse solo nell’intelletto, non sarebbe l’ente massimo concepibile.
Dunque Dio esiste.
3. Prova ontologica modale (possibilità e necessità)
Se Dio è possibile, allora esiste necessariamente.
Il concetto di Dio non implica contraddizione, dunque Dio è possibile.
Dunque Dio esiste necessariamente.
4. Prova ontologica di Gödel (versione filosofica)
Una proprietà è positiva se è una perfezione.
L’essere divino è l’ente che possiede tutte le proprietà positive.
L’esistenza necessaria è una proprietà positiva.
Se è possibile che esista un essere che possiede tutte le proprietà positive, allora tale essere esiste necessariamente.
È possibile l’esistenza di un essere che possiede tutte le proprietà positive.
Dunque esiste necessariamente un essere divino, cioè Dio.
5. Prova semantica (significato e realtà)
Gli oggetti la cui nozione è dotata di senso devono poter essere concepiti come oggetti reali.
Il concetto di Dio come essere necessariamente esistente è dotato di senso.
Dunque Dio è reale.
6. Prova dal significato esperienziale
Il termine “Dio” può avere significato per l’esperienza solo se Dio esiste.
Il termine “Dio” ha significato per l’esperienza religiosa.
Dunque Dio esiste.
7. Prova cosmologica dalla contingenza
Nel mondo esistono enti contingenti.
Ciò che è contingente non ha in sé la ragione del proprio essere.
Non tutto ciò che esiste può essere contingente.
Deve dunque esistere un ente necessario.
Questo ente necessario è Dio.
8. Prova cosmologica dalla causa prima
Ogni ente che comincia a esistere ha una causa.
Non è possibile un regresso infinito di cause.
Deve dunque esistere una causa prima non causata.
Questa causa prima è Dio.
9. Prova teleologica
Il mondo manifesta ordine, regolarità e finalità.
L’ordine finalizzato presuppone un principio intelligente.
Dunque esiste un’intelligenza ordinatrice del mondo.
Questa intelligenza è Dio.
10. Prova morale
Esiste una legge morale oggettiva.
Una legge morale oggettiva richiede un fondamento assoluto.
Questo fondamento non può essere contingente.
Dunque esiste un fondamento morale assoluto: Dio.
11. Prova mereologica (il Tutto)
Se esistono le parti, esiste la totalità delle parti.
Esistono enti come parti.
Dio è la totalità dell’essere, il Tutto.
Dunque Dio esiste.
12. Prova dell’Assoluto
L’Assoluto è ciò che non dipende da altro.
Dio è l’Assoluto.
Dunque Dio è l’essere stesso.
2. Meta-prova dell'esistenza di Dio.
Definizioni preliminari
D1 – Ente. È ente tutto ciò che è o può essere.
D2 – Contingente. Un ente è contingente se la sua esistenza non è necessaria, cioè può non essere.
D3 – Necessario. Un ente è necessario se non può non esistere.
D4 – Fondamento ontologico. Un ente A è fondamento ontologico di B se B esiste in virtù di A e non viceversa.
D5 – Dio. Per “Dio” si intende l’ente che è: ontologicamente necessario; fondamento ultimo di tutto ciò che esiste; non dipendente da altro.
Premesse
P1 – Esistenza dell’essere. Esistono enti (dato innegabile).
P2 – Esistenza del contingente. Almeno alcuni enti sono contingenti (mutano, cominciano a esistere, cessano).
P3 – Principio di fondazione. Ciò che è contingente non è fondamento ultimo del proprio essere.
(Negarlo equivale ad accettare l’esistenza senza alcuna ragione ontologica, cioè l’assurdo metafisico.)
Argomento centrale
P4 – Totalità degli enti contingenti. Sia C l’insieme (o totalità) di tutti gli enti contingenti.
P5 – C è contingente oppure necessario. O C è contingente, o è necessario.
P6 – C non può essere contingente. Se C fosse contingente, richiederebbe un fondamento esterno a C.
Ma nulla di contingente può essere esterno a C per definizione. Dunque C non è contingente.
C1 – Esiste un ente necessario. Esiste almeno un ente necessario N, fondamento ontologico di C.
Proprietà dell’ente necessario
P7 – N non è causato né dipendente. Se N fosse causato o dipendente, non sarebbe necessario.
P8 – N non è un ente tra gli enti. Se fosse un ente tra altri enti, la totalità dell’essere lo trascenderebbe.
Ma N è fondamento della totalità.
C2 – N è l’essere stesso in atto necessario N non ha l’essere: è l’essere.
Integrazione modale (Gödel)
P9 – L’esistenza necessaria è una proprietà positiva. Una proprietà che non può mancare senza contraddizione è positiva.
P10 – È possibile l’essere necessario. Il concetto di ente necessario non implica contraddizione.
P11 – Se un ente necessario è possibile, esiste. (Principio della logica modale S5)
C3 – L’ente necessario esiste necessariamente
Identificazione con Dio
P12 – Un ente che è: necessario, fondamento di tutto ciò che esiste, non dipendente, identico all’essere,
corrisponde alla definizione D5 di Dio.
CONCLUSIONE FINALE
Dunque Dio esiste necessariamente.
3. La critica kantiana: l’esistenza non è un predicato reale
Secondo la nota critica di Kant, l’esistenza non costituisce un predicato reale, ossia non è una proprietà che arricchisca il contenuto concettuale di un oggetto. L’affermazione dell’esistenza di una cosa non aggiunge nulla al concetto di tale cosa, ma si limita a porre il concetto come istanziato nella realtà. Ne consegue che l’esistenza non può essere dedotta analiticamente dal concetto stesso, e che ogni tentativo di inferire l’esistenza a partire dalla definizione di un ente incorre in un errore categoriale.
Il celebre esempio dei cento talleri chiarisce il punto: cento talleri reali non possiedono alcuna proprietà concettuale in più rispetto a cento talleri semplicemente pensati; ciò che muta non è il contenuto del concetto, bensì il suo rapporto con la realtà. In questa prospettiva, Kant ritiene fallace la prova ontologica classica, nella misura in cui essa tratta l’esistenza come una perfezione o come un predicato incluso nel concetto di Dio.
È tuttavia essenziale notare che tale critica ha un bersaglio circoscritto. Kant non nega l’esistenza di enti necessari in senso metafisico, né mette in discussione la distinzione fondamentale tra necessario e contingente, né, infine, esclude la possibilità di una metafisica del fondamento. Ciò che egli respinge è esclusivamente la deduzione dell’esistenza a partire da un’analisi concettuale.
Per questa ragione, la critica kantiana non contraddice la meta-prova in esame. Quest’ultima, infatti, non muove dal concetto di Dio per inferirne l’esistenza, ma prende avvio da un dato ontologico preliminare: l’esistenza di enti contingenti. L’argomentazione si fonda su una distinzione ontologica — tra ciò che è contingente e ciò che è necessario, tra ciò che è fondato e ciò che funge da fondamento — e non su una considerazione logico-semantica dei concetti.
In tale contesto, l’esistenza non è trattata come predicato, ma come atto o modalità dell’essere, e più precisamente come condizione di possibilità dell’esistenza contingente. Il punto decisivo consiste nel fatto che, nella meta-prova, Dio non è concepito come un ente che “possiede” l’esistenza, bensì come ciò senza cui l’esistenza del contingente sarebbe ontologicamente impossibile. Kant rifiuta la tesi secondo cui dall’idea di Dio segue la sua esistenza; la meta-prova, al contrario, sostiene che dall’esistenza del contingente segue la necessità di un fondamento non contingente. Pertanto, la critica kantiana non colpisce il nucleo dell’argomento.
4. La critica di Russell: quantificazione ed errore di livello logico
La critica di Russell si colloca su un piano differente, prevalentemente logico-linguistico. Secondo Russell, “esistere” non è una proprietà attribuibile agli individui, bensì un’espressione di quantificazione. Dire che qualcosa esiste equivale ad affermare che vi è almeno un oggetto che soddisfa un certo predicato. In questa prospettiva, proposizioni come “Dio esiste” vengono interpretate come affermazioni quantificate del tipo: “esiste almeno un x tale che x è Dio”. Molte prove metafisiche tradizionali, secondo Russell, confonderebbero il livello della predicazione con quello della quantificazione, trattando l’esistenza come se fosse una proprietà di un oggetto.
Anche in questo caso, il bersaglio della critica è ben delimitato. Russell prende di mira quelle argomentazioni che concepiscono Dio come un individuo tra altri individui, inserito all’interno di un dominio di oggetti, e che implicitamente assumono che l’esistenza sia una proprietà aggiuntiva di tale individuo.
La meta-prova, tuttavia, non assume Dio come un elemento del dominio degli enti. Al contrario, essa afferma esplicitamente che Dio non appartiene alla totalità degli enti contingenti, ma ne costituisce il fondamento ontologico. Dio non è quindi un oggetto quantificabile, né un individuo tra altri individui, bensì ciò in virtù di cui il dominio stesso degli enti contingenti è possibile.
Russell ha ragione nel sostenere che non ha senso attribuire l’esistenza come proprietà a un individuo. Ma la meta-prova non compie tale attribuzione: essa non presenta Dio come un individuo che “ha” l’esistenza, bensì come il fondamento dell’atto stesso di esistere. Inoltre, l’argomentazione non si colloca sul piano semantico o linguistico, bensì su quello ontologico. Non afferma che “esiste un x tale che x = Dio”, ma che la totalità del contingente implica necessariamente un fondamento non contingente. In tal senso, non si introduce Dio come variabile logica, ma come condizione ontologica di possibilità.
5. Prime conclusioni.
Le critiche di Kant e di Russell risultano decisive contro alcune formulazioni specifiche delle prove dell’esistenza di Dio, in particolare contro le versioni ingenue o logicamente imprecise della prova ontologica. Tuttavia, esse non negano la distinzione fondamentale tra contingente e necessario, né eliminano la nozione di fondamento ontologico. La meta-prova qui considerata non deduce l’esistenza di Dio da un concetto, non lo quantifica come un oggetto e non lo tratta come un individuo tra altri individui; essa lo identifica piuttosto come la condizione necessaria dell’esistenza del contingente.
Per confutare tale meta-prova non basterebbe dunque richiamarsi a Kant o a Russell: sarebbe necessario negare che il contingente, in quanto tale, richieda un fondamento. Una simile posizione non appartiene né al criticismo kantiano né alla filosofia analitica di Russell, ma corrisponde piuttosto a una forma di nichilismo ontologico radicale.
6. Wittgenstein e la questione del fondamento: limiti, senso e metafisica
6.1 Il Wittgenstein del Tractatus: il limite del dicibile
Nel Tractatus logico-philosophicus, Wittgenstein sostiene che il linguaggio significativo è limitato alle proposizioni che raffigurano stati di cose possibili nel mondo. Ciò che può essere detto con senso è ciò che può essere logicamente rappresentato; tutto ciò che eccede tale funzione raffigurativa non è falso, ma privo di senso (unsinnig). In questa prospettiva, proposizioni metafisiche, etiche e teologiche non descrivono fatti del mondo e pertanto non possono essere formulate come enunciati dotati di significato proposizionale.
In particolare, Wittgenstein afferma che non ha senso parlare del mondo “come un tutto” o del fondamento del mondo come se fosse un oggetto tra gli altri. Il “mistico” non consiste in ciò che accade nel mondo, ma nel fatto che il mondo esiste. Tale fatto non può essere detto, ma solo mostrato. Ne consegue che ogni tentativo di esprimere in forma proposizionale il fondamento ultimo dell’essere sembrerebbe, secondo il Tractatus, travalicare i limiti del linguaggio sensato.
Apparente conflitto con la meta-prova
A prima vista, questa posizione sembra incompatibile con la meta-prova, che parla esplicitamente di un fondamento necessario dell’essere. Tuttavia, il conflitto è solo apparente. La meta-prova non pretende di formulare una proposizione fattuale su un oggetto del mondo, né di descrivere Dio come un ente empiricamente determinabile. Essa mira piuttosto a esplicitare una condizione ontologica di possibilità dell’esistenza del mondo contingente.
In termini wittgensteiniani, la meta-prova non intende dire il fondamento come un fatto, ma mostrare che l’esistenza del contingente implica logicamente e ontologicamente qualcosa che non appartiene all’ordine dei fatti. Il suo esito è dunque affine a ciò che il Tractatus riconduce alla dimensione del “mistico”: non una descrizione del mondo, ma la chiarificazione del fatto che il mondo è.
Di conseguenza, Wittgenstein non confuta la meta-prova; egli ne delimiterebbe piuttosto lo statuto, sostenendo che il suo contenuto non può essere espresso come una proposizione scientifica, ma solo come una chiarificazione del senso dell’essere.
6.2 Il secondo Wittgenstein: uso del linguaggio e giochi linguistici
Nelle Ricerche filosofiche, Wittgenstein abbandona l’idea di una struttura logica unica del linguaggio e introduce la nozione di “giochi linguistici”. Il significato di un’espressione non è dato da una corrispondenza con oggetti o fatti, ma dal suo uso all’interno di una forma di vita. In questa prospettiva, molte questioni metafisiche sorgono da un uso improprio del linguaggio, ossia dall’estrapolazione di termini da un gioco linguistico e dal loro impiego in un contesto in cui non hanno una funzione stabilita.
Applicata alla teologia filosofica, questa impostazione porta Wittgenstein a considerare il linguaggio religioso non come descrittivo, ma come espressivo o regolativo di una pratica di vita. Parlare di Dio, del senso ultimo o del fondamento dell’essere non equivale a formulare ipotesi ontologiche, ma a esprimere un orientamento esistenziale.
Apparente conflitto con la meta-prova
Da questo punto di vista, la meta-prova sembrerebbe illegittima, poiché utilizza concetti come “fondamento”, “necessità” e “essere” al di fuori di un gioco linguistico chiaramente determinato, pretendendo di trarre conclusioni ontologiche universali.
Tuttavia, anche qui il conflitto non è decisivo. La meta-prova non è un enunciato interno a un gioco linguistico empirico o scientifico, ma una riflessione di secondo livello sulle condizioni di intelligibilità dei giochi linguistici stessi. Essa non compete con le descrizioni scientifiche del mondo, né pretende di introdurre un oggetto ulteriore nel nostro inventario ontologico. Piuttosto, tematizza ciò che rende possibile parlare sensatamente di enti contingenti, di spiegazione, di dipendenza e di ragione.
In tal senso, la meta-prova può essere interpretata come una chiarificazione grammaticale profonda: non come una teoria rivale, ma come un tentativo di rendere esplicito ciò che è già implicitamente presupposto nelle nostre pratiche di spiegazione ontologica.
6.3 Resistenza della meta-prova alla critica wittgensteiniana
Il punto decisivo è che Wittgenstein non nega l’esistenza di un fondamento ultimo; egli nega che tale fondamento possa essere trattato come un fatto dicibile o come un oggetto teorico. La meta-prova, correttamente intesa, non viola questo limite, poiché:
- non presenta Dio come un oggetto nel mondo, ma come ciò che non è nel mondo ma ne è la condizione;
- non formula una proposizione empirica, ma un’argomentazione trascendentale sul fatto che il contingente richiede un fondamento;
- non compete con i giochi linguistici scientifici, ma ne chiarisce i presupposti ontologici;
- può essere letta come un “mostrare” piuttosto che un “dire”, nel senso del Tractatus.
Se la meta-prova venisse interpretata come una teoria descrittiva su un ente soprannaturale, allora la critica wittgensteiniana sarebbe pertinente. Ma se essa viene intesa come una chiarificazione metafisica del senso dell’essere e della dipendenza ontologica del contingente, allora Wittgenstein non la confuta, bensì ne ridefinisce il registro espressivo.
6.4 Conclusione
La posizione di Wittgenstein, tanto nella fase del Tractatus quanto in quella delle Ricerche filosofiche, non fornisce una confutazione della meta-prova dell’esistenza di Dio. Essa impone piuttosto una restrizione sul modo in cui tale meta-prova può essere formulata e interpretata. Wittgenstein esclude che il fondamento ultimo dell’essere possa essere oggetto di una descrizione proposizionale; la meta-prova, tuttavia, non ha bisogno di tale descrizione per mantenere la propria forza argomentativa.
Per rigettare la meta-prova sarebbe necessario sostenere che l’esistenza contingente non richiede alcuna giustificazione ontologica, o che la domanda sul fondamento dell’essere sia intrinsecamente priva di senso. Questa posizione, però, non è una conseguenza necessaria del pensiero wittgensteiniano, ma una scelta metafisica ulteriore, che va ben oltre la sua critica del linguaggio.
7. Sulla negazione del fondamento ontologico e sul senso della domanda metafisica
La meta-prova dell’esistenza di un fondamento necessario dell’essere può essere rigettata solo a condizione di adottare una delle due seguenti strategie teoriche: o si nega che l’esistenza contingente richieda una giustificazione ontologica, oppure si sostiene che la stessa domanda circa il fondamento dell’essere sia intrinsecamente priva di senso. Entrambe le strategie sono formalmente coerenti, ma ciascuna comporta costi filosofici considerevoli, che meritano di essere esplicitati.
La prima strategia consiste nella negazione del principio di fondazione ontologica, secondo cui ciò che è contingente non possiede in sé la ragione del proprio essere e richiede pertanto un fondamento. In questa prospettiva, l’esistenza contingente viene concepita come un fatto bruto, non ulteriormente giustificabile. Dal punto di vista formale, una simile posizione non implica contraddizioni logiche: è possibile costruire sistemi coerenti in cui l’esistenza di enti contingenti privi di fondamento ultimo venga assunta come dato primitivo. Tuttavia, tale mossa comporta una rinuncia esplicita all’ideale esplicativo che informa gran parte della tradizione metafisica e scientifica. La nozione stessa di spiegazione ontologica viene mantenuta a livello locale, ma sospesa arbitrariamente quando la domanda si estende alla totalità dell’essere. Questa asimmetria metodologica non costituisce un errore logico, ma introduce una frattura concettuale che deve essere assunta consapevolmente.
La seconda strategia è di natura metateorica e consiste nel negare la legittimità stessa della domanda sul fondamento dell’essere. Secondo questa linea, espressioni quali “fondamento ultimo” o “ragione dell’essere in quanto tale” non appartengono a un ambito di discorso dotato di senso, ma risultano da un uso improprio del linguaggio. Tale posizione, spesso ispirata a letture radicali di Wittgenstein o al neopositivismo logico, non nega un fatto ontologico, bensì esclude la questione dal dominio delle domande sensate. Tuttavia, questa esclusione non può essere giustificata dall’interno di un sistema logico ordinario, poiché presuppone una teoria del significato che opera a un livello metalinguistico. Di conseguenza, essa non confuta la meta-prova, ma ne rifiuta il presupposto disciplinare, ossia la legittimità della metafisica come indagine razionale sul fondamento dell’essere.
È importante osservare che nessuna delle due strategie deriva necessariamente dalle critiche di Kant, Russell o Wittgenstein. Kant contesta la deduzione dell’esistenza a partire da un concetto, ma non nega la distinzione tra contingente e necessario né la possibilità di una metafisica del fondamento. Russell critica la reificazione logica dell’esistenza e l’uso improprio della quantificazione, ma non esclude che la totalità del contingente possa richiedere una spiegazione ontologica. Wittgenstein, infine, impone limiti al dicibile e invita alla cautela nell’uso del linguaggio metafisico, ma non dimostra che la domanda sul fondamento dell’essere sia priva di senso in modo necessario.
Ne consegue che la meta-prova non può essere invalidata mediante una critica logica o linguistica di tipo classico. Per respingerla è necessario adottare una posizione metafisica radicale: o accettare l’esistenza di contingenza assoluta priva di fondamento, oppure negare che la questione del fondamento ultimo dell’essere sia una questione filosoficamente legittima. In entrambi i casi, non si tratta di una confutazione argomentativa della meta-prova, bensì di una scelta teorica di fondo, che implica una ridefinizione dei limiti e degli scopi stessi della metafisica.
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