mercoledì 17 dicembre 2025

La scuola 'classica' della legge Casati.

L’assetto del sistema scolastico delineato dalla Legge Casati risente in modo evidente dell’influenza del modello prussiano, in particolare di quello del ginnasio umanistico elaborato all’inizio del XIX secolo da Wilhelm von Humboldt. Tale modello era considerato, già dai contemporanei, un risultato di straordinaria efficacia: il luogo per eccellenza destinato alla formazione delle élite politiche e culturali, prima della Prussia e poi della Germania unificata. La sua autorevolezza travalicò presto i confini nazionali, esercitando un’influenza profonda su numerosi paesi europei, tra cui l’Italia, che ne accolse l’impianto selettivo e la centralità assegnata agli studi classici.

In Italia, la questione scolastica si intrecciò fin dall’inizio con il processo di costruzione dello Stato unitario. L’istruzione divenne uno dei nodi cruciali della contemporaneità risorgimentale, nella consapevolezza che l’unificazione politica dovesse accompagnarsi a una profonda opera di formazione civile. Il celebre motto «fatta l’Italia, bisogna fare gli Italiani», al di là della sua fortuna retorica, coglie con precisione il problema: la necessità di forgiare un’identità nazionale condivisa attraverso la scuola. L’educazione fu così investita di una funzione eminentemente politica e culturale, quale strumento privilegiato per la costruzione del cittadino del nuovo Stato.

È in questo contesto che nasce la Legge Casati, formalmente il Regio Decreto n. 3725 del 13 novembre 1859. Proposta da Gabrio Francesco Casati, ministro della Pubblica Istruzione del Regno di Sardegna, la legge fu varata durante il governo La Marmora, in un regime di pieni poteri dovuto alla seconda guerra d’indipendenza, senza un vero dibattito parlamentare. Nata per disciplinare l’istruzione nel solo Regno di Sardegna, essa divenne improvvisamente, dopo il 17 marzo 1861, la legislazione scolastica dell’intero Regno d’Italia.

La Legge Casati si poneva in continuità con la precedente Legge Boncompagni del 1848, che aveva già fissato alcuni principi fondamentali: il carattere pubblico, statale e laico della scuola, l’obbligatorietà e gratuità dell’istruzione primaria, la distinzione della scuola secondaria in indirizzo classico e tecnico. Su queste basi, la normativa del 1859 costruì un sistema organico destinato a dominare la scena scolastica italiana per oltre sessant’anni, subendo solo modifiche marginali fino alla Riforma Gentile del 1923.

Il nuovo ordinamento, ulteriormente ampliato dal successore di Casati, Terenzio Mamiani, delineava una struttura educativa estesa dai sei ai diciotto anni, ponendo l’intero sistema sotto il controllo e la garanzia dello Stato. L’istruzione elementare era resa obbligatoria e articolata in due gradi di due anni ciascuno. Nel grado inferiore l’insegnamento comprendeva la religione, la lingua italiana — lettura, scrittura e grammatica — e l’aritmetica con il sistema metrico. Il grado superiore riprendeva queste discipline, arricchendole con nozioni di composizione, calligrafia, tenuta dei libri contabili, geografia, storia e rudimenti di scienze fisiche e naturali. Il curricolo era esplicitamente differenziato per genere: ai maschi erano riservati geometria e disegno, alle femmine i cosiddetti “lavori femminili”, riflesso di una concezione sociale fortemente gerarchica e sessuata.

Al termine del ciclo elementare, in assenza di una scuola media unificata, si aprivano tre percorsi distinti. Il primo era l’istruzione secondaria classica, della durata complessiva di otto anni, unica via di accesso a tutte le facoltà universitarie. Seguivano le scuole normali, destinate alla formazione dei maestri e delle maestre elementari, e l’istruzione tecnica, di durata inferiore e priva di sbocchi universitari completi. Questa articolazione sanciva una gerarchia netta tra i percorsi, relegando l’istruzione tecnica a un ruolo subalterno e consacrando quella classica come il canale privilegiato per la formazione della futura classe dirigente.

Il primato dell’istruzione classica emerge con particolare chiarezza nel dettato normativo. La Legge Casati non prevedeva licei scientifici o linguistici, che sarebbero stati introdotti solo decenni più tardi. L’articolo 188 definisce esplicitamente il fine dell’istruzione classica come quello di fornire una cultura letteraria e filosofica capace di aprire l’accesso agli studi speciali universitari. In tal modo, il ginnasio-liceo si configurava non soltanto come un percorso di studi, ma come l’istituzione deputata a plasmare l’élite intellettuale e politica del nuovo Stato.

Il corso classico era suddiviso in due gradi: il ginnasio, della durata di cinque anni, a sua volta articolato in un triennio inferiore e in un biennio superiore, e il liceo, di tre anni. Il ginnasio era posto a carico dei Comuni e doveva essere presente in tutte le città capoluogo di provincia e di circondario; il liceo, finanziato congiuntamente da Comuni e Stato, doveva essere presente almeno uno per ogni provincia. Questa distribuzione territoriale rifletteva l’intento di garantire una diffusione capillare del percorso formativo destinato alle élite.

La vita scolastica era regolata da un sistema di controllo e valutazione particolarmente rigoroso. Gli studenti erano sottoposti a esami di ammissione, di promozione e di licenza, gestiti da apposite giunte esaminatrici. Al termine del ginnasio e del liceo, gli esami finali certificavano non solo il profitto disciplinare, ma anche l’idoneità morale e culturale dello studente a proseguire negli studi superiori.

Il curricolo rifletteva la netta prevalenza delle discipline umanistiche, con un’introduzione graduale delle materie scientifiche solo negli anni liceali. Nel ginnasio dominavano lo studio dell’italiano, del latino e del greco — introdotto a partire dal terzo anno — insieme a storia, geografia, aritmetica e nozioni di antichità classica. Nel liceo, pur riducendosi progressivamente lo spazio delle materie letterarie, esse restavano centrali accanto alla filosofia, alla matematica, alla fisica e, nell’ultimo anno, alla storia naturale. L’orario settimanale, compreso tra le ventidue e le venticinque ore, era denso ma rigorosamente organizzato, a testimonianza di una concezione della scuola come luogo di disciplina intellettuale e morale.

Nel suo insieme, il sistema scolastico delineato dalla Legge Casati appare come un’architettura fortemente gerarchica, ispirata al modello prussiano e orientata alla selezione delle élite. Esso rispondeva a una precisa esigenza storica: formare, attraverso l’istruzione classica, i quadri dirigenti di uno Stato appena nato. Se da un lato tale impianto contribuì in modo decisivo alla costruzione dell’identità nazionale, dall’altro pose le basi di una distinzione profonda e duratura tra istruzione “alta” e istruzione “subalterna”, destinata a segnare a lungo la storia della scuola italiana.

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