mercoledì 17 dicembre 2025

Omero, l'educatore del mondo classico.

Platone definisce Omero «educatore di tutta la Grecia», un’espressione che coglie con straordinaria precisione la funzione storica dei poemi omerici. Essi non costituiscono soltanto il fondamento della letteratura greca, né si esauriscono in un’esemplare perfezione formale: sono, soprattutto, il veicolo privilegiato attraverso cui la civiltà greca ha trasmesso a se stessa un sistema condiviso di valori, modelli di comportamento e ideali collettivi. Nell’epica, la comunità greca riconosceva un’immagine elevata e paradigmatica di sé, destinata a preservare e consolidare norme, credenze e aspettative comuni.

La centralità di Omero nella formazione culturale del mondo greco è difficilmente sopravvalutabile. I suoi poemi erano ascoltati e conosciuti da tutti, costituivano l’ossatura dell’educazione nelle prime scuole e, una volta fissati per iscritto, furono consacrati come testi canonici dai filologi alessandrini. Omero è unanimemente considerato il padre della letteratura greca, un primato che Esiodo condivide solo marginalmente. La forza duratura dei poemi omerici risiede nella loro capacità di costruire un universo ideale, popolato da dèi ed eroi, che fungeva da modello normativo per la vita reale e da strumento di formazione etica e sociale.

Come ha mostrato Erik Havelock in Arte e comunicazione nel mondo antico, l’epica rappresentò il mezzo per eccellenza attraverso cui una società prevalentemente orale poteva trasmettere un insieme complesso di messaggi, non solo espliciti ma anche impliciti, inscritti nella struttura narrativa, nei ritmi e nelle formule. Non si trattava di una semplice rappresentazione del reale, bensì di uno specchio selettivo e idealizzante, capace di restituire immagini memorabili e affascinanti, radicate nel passato e nel patrimonio normativo della comunità, così da garantire la conservazione e la trasmissione dei valori condivisi.

Al centro di questo sistema si colloca il concetto di ἀρετή, la virtù eroica intesa come eccellenza, soprattutto guerriera, e come fondamento dell’onore. La figura che più compiutamente la incarna è Achille. Come osserva Henri-Irénée Marrou, è proprio la sua nobile e luminosa figura a rappresentare l’ideale morale del perfetto cavaliere. Ogni sua azione è interamente orientata dall’ἀρετή e si offre come paradigma di ciò che l’eroe greco è chiamato a essere.

La vicenda di Achille è scandita da scelte decisive che mettono in luce il nesso profondo tra eroismo e destino. Il più forte tra gli Achei, egli era indispensabile alla conquista di Troia. La madre Teti gli aveva rivelato il suo destino: partecipare alla guerra avrebbe significato rinunciare al ritorno in patria. Achille accetta consapevolmente questa prospettiva, scegliendo la gloria imperitura, il κλέος che solo le imprese belliche possono assicurare, a scapito di una lunga esistenza priva di fama.

L’oltraggio subito da Agamennone, che gli sottrae Briseide, segna una frattura profonda. Sentendosi disonorato, Achille si ritira dalla battaglia e respinge senza esitazioni l’ambasciata del re, rifiutando doni e promesse. Nella sua risposta a Odisseo afferma di non confidare più nella parola di Agamennone («οὔτ' ἔμεγ' Ἀτρεΐδην Ἀγαμέμνονα πεισέμεν οἴω οὔτ' ἄλλους Δαναούς»). In quel momento, nemmeno la prospettiva della gloria immortale è sufficiente a smuoverlo: Achille ribadisce l’intenzione di tornare in Ftia, richiamando l’alternativa che gli era stata profetizzata, tra una vita lunga ma oscura e una morte precoce e gloriosa.

Il suo ritorno in battaglia avviene solo dopo la morte di Patroclo, ucciso da Ettore. È il desiderio di vendetta a spingerlo nuovamente sul campo, nella piena consapevolezza che quell’atto segnerà anche la propria fine. Proprio questa scelta, tuttavia, sancisce definitivamente la sua gloria imperitura. Achille rientra così nell’ordine del sistema eroico e politico che aveva temporaneamente rifiutato, accettando insieme il comando di Agamennone e il destino di una vita breve ma memorabile.

Il valore educativo di Achille non risiede in una nozione moderna di bontà, né in un’evoluzione psicologica interiore. La sua funzione esemplare consiste nella rigorosa coerenza con il codice eroico. Le sue azioni insegnano che, per l’eroe, una vita lunga priva di memoria non ha valore, mentre la morte in battaglia è nobile se garantisce l’immortalità nel ricordo collettivo. La sua grandezza, osserva ancora Marrou, sta nell’accettazione lucida e serena del destino. In termini analoghi, Karl Kerényi nota che Achille, «nato per una vita breve», conserva di fronte alla morte una dignità che riflette la sua natura semidivina.

Achille è dunque un modello non perché moralmente “buono” secondo categorie moderne, ma perché incarna senza residui il sistema di valori eroico. Come ricorda Mario Vegetti, l’eroe greco non sceglie i valori per cui combatte: egli coincide con essi ed è vincolato alle aspettative dei pari e della comunità, che definiscono la sua stessa identità.

In questa prospettiva, Omero si conferma il primo e più influente educatore della Grecia. Attraverso le vicende dei suoi eroi, e in modo emblematico attraverso Achille, egli ha consegnato ai posteri un quadro organico della civiltà greca, non solo sul piano etico, ma anche su quello politico e istituzionale, fornendo un modello destinato a plasmare per secoli l’immaginario e la coscienza del mondo antico.

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